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venerdì 19 luglio 2013

I soliti furbetti

Se il regolamento rischia dimettere in difficoltà tante aziende, da tanti è considerato una mangiatoia.

Accanto a persone oneste ed effettivamente competenti che cercano di fare delle consulenze con consigli e procedure conformi al regolamento, ci sono già in giro un sacco di profittatori e ciarlatani.

Quali sono i servizi "superflui" che costoro spacciano per richiesti dalla legge?


Anzi, visto che il regolamento comincia a d avere un suo gergo tipo "mi faccio il pif", "avete notificato", "l'Europa mi chiede" (questa è carina), quando qualcuno vuol dire che è richiesto dal regolamento lo definisce "cogente".
Dal Devoto-Oli: cogente [co-gèn-te] agg. (pl. -ti) DIR Che ha carattere obbligatorio; inderogabile: norme, disposizioni cogenti.

Quando in una mail o in una conversazione leggete o sentite "cogente", drizzate le antenne.

Vediamo i più comuni (i più frequentemente definiti cogenti).

-Certificazione delle GMP "Good Manufacturing Practice":
Le GMP sono le linee guida di buona produzione. Si rifanno ovviamente alla normativa ISO, e sono la base per fare bene il prodotto (grazie, si chiamano norme di buona fabbricazione...).
Il regolamento impone alla persona responsabile del prodotto di verificare che chi glielo produce e/o confeziona segua le GMP. Basta una dichiarazione, sì, io seguo le GMP secondo ISO 22716. Hoc sufficit. Se il responsabile ha proprio voglia di riempirsi di carta, le chiede in versione integrale.

Bene. Ci sono enti certificatori, o sedicenti tali, -a dire la verità c'è anche un'università, che, se ci sta leggendo, dovrebbe vergognarsi -  che scrivono ai produttori che il regolamento impone che l'attuazione delle GMP debba essere certificata, come le GMP stesse. La frase con cui i più esordiscono, è "come lei saprà, il nuovo regolamento ha reso cogente la certificazione delle GMP". Di solito propongono una verifica delle GMP applicate per circa 500-1.000 euro, ed un eventuale adeguamento ai fini della certificazione che varia in funzione del risultato della verifica (ma guarda un po').
FALSO!
Il regolamento dice:
Articolo 8
Buone pratiche di fabbricazione
1. Nella fabbricazione di prodotti cosmetici sono rispettate le buone pratiche di fabbricazione al fine di garantire il raggiungi­mento degli obiettivi di cui all'articolo 1.
2. Qualora la fabbricazione avvenga conformemente alle per­tinenti norme armonizzate, i cui riferimenti sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, si presume il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione.

Vi pare che dica che debbano essere certificate da terzi?

-Le analisi obbligatorie
Circolano voci secondo le quali vengono contattati appositori di marchio che importano dai Paesi UE, quindi responsabili del prodotto ma di un prodotto già certamente conforme, in quanto prodotto all'interno della UE, a cui viene fatto credere che devono essere in possesso di analisi chimico-fisiche, analisi sulla composizione del prodotto e altre amenità del genere tassativamente fatte nel Paese in cui il prodotto viene importato. Quelle fatte altrove non valgono. "Come lei saprà, il nuovo regolamento ha reso cogente la necessità di nuove analisi effettuate da un ente locale sul suo prodotto".
FALSO!
Non c'è nessun articolo nel regolamento che faccia riferimento a questo obbligo della persona responsabile.
Inoltre tutte le analisi vengono fatte secondo protocollo universale, che siano fatte a Manaus (che è in Brasile, e non vicino ad Amburgo) o a Lercara friddi (più vicino, in provincia di Palermo), se fatte secondo il protocollo omologato internazionalmente, hanno valore internazionale.
Al limite fatevi fare le analisi del sangue, prima che diventi marcio a causa del regolamento.

-PIF per tutti!
Molti appositori di marchio, persone responsabili del prodotto, vengono convinte che, pena sanzioni tipo crocifissione, devono avere (far fare) il PIF fatto per loro conto, anche se il produttore ha già fatto il suo.

Se il prodotto è un cosmetico prodotto all'interno della UE, è FALSO.

Se il prodotto proviene da fuori UE, e il produttore extra UE non vi dà il suo PIF o lo ha fatto secondo la sua normativa locale, è VERO.
Se il vostro produttore extra UE ha fatto il PIF secondo regolamento europeo ma l'ha redatto in Urdu o Somalo, voi dovete provvedere alla traduzione. Se è in inglese, invece, è accettato.

-Il valutatore della sicurezza
Alcuni si propongono ad appositori di marchi come valutatori della sicurezza del prodotto. I più biechi, naturalmente pretendono di fare anche il PIF: con cosa, che la formula e le certificazioni dei fornitori delle materie prime e il metodo di produzione e i test (il cuore del prodotto e del PIF) non li hai e non li avrai mai? Con l'INCI in etichetta?

I più easy si presentano e con aria allegra dicono: ma sì, dai, un'occhiata alla confezione, all'etichetta, un paio di test,  io ti rilascio la dichiarazione della sicurezza: scuuuusa? Senza formula, senza specifiche degli ingredienti e dei fornitori, senza insomma mettere insieme neanche una parvenza di PIF?

Il tutto viene spacciato con un obbligo (cogente) del regolamento per gli adempimenti dello Stato Italiano, che del regolamento non sa niente, tanto che fino a due mesi fa il ministero della salute pubblicava ancora la procedura di notifica cartacea e bollata, e nominava ancora il dossier.


Ribadiamo il concetto: il regolamento è europeo.
Lo Stato Italiano non ci ha messo la zampa. Per il momento.
Un prodotto in regola in Portogallo lo è anche in Svezia, Malta e Grecia, senza nessuna necessità di integrazione di documenti o test o prestazioni di strani figuri nostrani.

Attenzione, perchè il fishing non è fatto solo con le mail delle poste e i boccaloni non mancano (come i furbetti sanno bene...)


1 commento:

  1. mi sembra solo un gran casino...dove fatta la legge si tova modo di aggirarla e i piccoi pagano o chiudono

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