Il cosmetico “naturale” viene identificato per la
preponderante presenza di ingredienti naturali, di derivazione naturale,
principalmente estratti di piante, fiori ed erbe.
Si crede che sia un’evoluzione del cosmetico di sintesi, in realtà è un ritorno alle origini,
visto che prima della chimica industriale, si aveva a disposizione quello che
la natura offriva, sia per farsi belli che per farsi bene.
Lo speziale ha sempre preparato impacchi, decotti, pomate,
creme, infusi, partendo dai vegetali ( a cui aggiungeva magari fantasiosi
ingredienti tipo arsenico, piombo, sangue di bue, ma questo è un altro discorso
che ha più a vedere con l’evoluzione della conoscenza in senso lato che con la cosmesi
in senso stretto).
Pomata deriva dal francese pommade che a sua volta deriva
dal latino pomum (pomo in senso ampio, perché in realtà mela si dice…malum), perché
secondo alcune fonti si disperdevano le sostanze da applicare sulla pelle in una
specie di purea di mele, secondo altri fonti invece perché ai prodotti da
applicare sulla pelle si aggiungeva il succo di mela per renderla gradevole
all’olfatto.
Quindi il prodotto per uso topico cutaneo con ingredienti
naturali è di origine antichissima.
Già la cosmesi tradizionale, fin dagli anni ‘70/80 ha
ripreso questa tendenza, andando via via modificando il cosmetico contenente
per lo più ingredienti di sintesi, sostituendoli con altri di origine vegetale.
All’epoca però è stata più un’operazione di marketing che di
radicale metamorfosi.
Un misero 1% di estratto affogato in siliconi era
sufficiente per far dire “contiene estratti naturali”.
Si deve al Prof. Paolo
Rovesti se la fitocosmesi ha avuto la ribalta che meritava e se finalmente
il cosmetologo ha avuto a disposizione informazioni chimiche e funzionali
sperimentali per poter impiegare i derivati vegetali in un cosmetico.
Grazie a lui, l’evoluzione/ritorno alle origini della
cosmetologia naturale ha potuto svilupparsi con maggior fondamento scientifico.
Il cosmetico naturale si è recentemente ulteriormente
evoluto adeguandosi anche ai nuovi consumi e ai nuovi stili di vita, con uno
sguardo sempre più rigoroso anche alle problematiche ambientali.
E’ un controsenso volere un cosmetico con ingredienti
naturali se per averlo viene causata l’estinzione di una pianta.
Oppure, ancora, è un controsenso volere a tutti i costi un
ingrediente di derivazione vegetale nella mia crema se insieme all’ingrediente
vengono immessi anche tutti i pesticidi o fertilizzanti di sintesi che sono
stati usati su quella pianta.
Così, non basta più avere una cosmetico a base di olio di
oliva puro, deve essere anche proveniente da colture biologiche, e/o rinnovabili.
Eradicare una pianta
per estrarne il contenuto significa eliminare un esemplare di quella pianta per
sempre, meglio quindi accertarsi che per una pianta utilizzata si provveda
a seminarne/piantarne un’altra.
Per questo la formulazione del cosmetico naturale si è
ulteriormente evoluta, alla ricerca del prodotto sempre più efficace ma sempre
meno aggressivo nei confronti dell’ambiente.
Perciò la valutazione di un ingrediente assume nuove valenze:
la prima e imprescindibile resta la valutazione della sicurezza, seguita
dall’efficacia e ora si è aggiunta anche la valutazione di impatto ambientale,
sotto tutti i suoi aspetti: di eco-tossicità sia nel processo produttivo che in
quello di smaltimento del vasetto vuoto una volta consumato il prodotto, e
anche di produzione del cosmetico.
Una considerazione che dovrebbe essere tenuta presente (non
tutti lo fanno) è l’ecologia locale.
Per ecologia locale si intende il danno/beneficio che una
determinata area geografica ha dall’uso di una delle sue risorse.
Si parla tanto di estratti esotici, ma pochi pensano al
Paese di provenienza di quell’estratto.
Se la tale pianta cresce solo in Krakhozia e il suo estratto
diventa importante per l’industria cosmetica, non è certo una bella cosa
mettere tutti i krakhozi a raccogliere quella pianta 20 ore al giorno per un
euro l’ora, vecchi e bambini compresi, finchè il mercato “tira”.
E non è bello, dopo che tutte le coltivazioni di quella
pianta sono state sfruttate, dire ai krakhozi grazie e arrivederci, adesso
mangiate i sassi.
E’ bello invece che, grazie alla coltivazione di quella pianta, i krakhozi possano
migliorare il loro tenore di vita, trovare un’occupazione che magari prima non
avevano, imparando nuove tecniche di coltivazione a preservazione del loro
ambiente e della loro specificità, facendo sì che la loro attività non
finisca dopo due stagioni, ma abbia ancora un futuro.
Senza andare tanto lontano, questo vale anche per tutte le
coltivazioni, anche italiane, affidate a piccoli imprenditori agricoli, che
mettono cura e sapienza per ottenere degli estratti di alta qualità, con
caratteristiche eco-compatibili nella coltivazione, raccolta e manipolazione.
Certo, magari costano un po’ di più, ma se il cosmetico deve
dare benessere, che lo dia anche a chi garantisce serietà nel coltivare le
piante i cui gli estratti contribuiscono a rendere un prodotto cosmetico
naturale anche ecologico.
E che magari fa fatica a piazzare il suo prodotto perché
l’estratto della stessa pianta importato da un altro paese costa molto meno.
Peccato che, sebbene la pianta sia la stessa, le caratteristiche dell’estratto
non sempre lo siano.
Infatti al di là di tutte le certificazioni eco-bio, le
piccole chimiche preferirebbero una certificazione
di origine, visto che la loro esperienza ha evidenziato che due piante apparentemente
uguali, ma una coltivata in un posto e una in altro, hanno contenuti di attivi
diversi.
Un’evoluzione importante nella direzione del naturale vegetale si è
avuta con i derivati animali.
E’ ovvio che un derivato animale è naturale, l’animale
appartiene al mondo naturale.
Conosciamo tutti
(?) gli spermaceti, contenuti nel capo dei capodogli e in quantità minori nei tessuti grassi
delle balene. È una sostanza molto
ricca di lipidi ed è composto principalmente da palmitato di cetile e quando è
cristallizzata è di colore bianco, in granuli solidi ma oleosi, piacevoli al
tatto e all'odorato; è quindi un ingrediente molto usato in cosmetica, fino al recente passato.
Attualmente il prodotto, per ovvi motivi di protezione
dell'ambiente e degli animali in via di estinzione, è rarissimo ed estremamente
costoso. Un validissimo e pregiato omologo vegetale è l'olio di Jojoba, che ne ricalca in grande misura le
proprietà, con costi ragionevoli. Dunque, perché usare gli spermaceti?
Assurdo.
Anche l’olio di visone ha conosciuto tempi d’oro, come pure
gli estratti di varie ghiandole.
Per non parlare del collagene, che proviene dalla
lavorazione degli scarti cartilaginei dei bovini.
Dopo gli episodi di mucca pazza (BSE, Bovin Spongiform
Encephalopathy), l’uso dei derivati animali è regolato dalla legge, che impone
lavorazioni atte ad assicurare collagene indenne.
Ma, benché tutti questi ingredienti siano di derivazione
naturale, presuppongono una sofferenza dell’animale e quindi, anche se alcuni
sono ancora consentiti dalle legislazioni vigenti, è ovvio che il buon
cosmetologo ne eviti accuratamente l’uso, a maggior ragione esistendo
alternative di origine vegetale.
Ormai i derivati animali non li usa pressoché nessuno. Se
proprio è necessario utilizzare una sostanza di cui non c’è l’omologo botanico per attività,
si ricorre alla biotecnologia.
Un classico è l’acido
ialuronico.
Si è scoperto nell’umor vitreo dei bovini, si estraeva dalle
creste di gallo con tecniche costosissime e a bassa resa. Per creste di gallo
si intendono veramente le creste del pennuto, non la pianta (Celosia, detta
Cresta di Gallo o Amaranto Piumoso, delle Amaranthacee)
Ora è di derivazione biotecnologica, la mucca continua ad
avere il suo sguardo bovino (come tanti umani, del resto) e il gallo canta al
sorgere del sole (e tanti galletti continuano ad alzare la loro cresta).
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