Il Dossier tossicologico.
Ogni prodotto cosmetico viene al mondo (immesso sul mercato)
con una sua carta di identità.
Ma mentre per noi il documento di identità è un tesserino
con qualche dato anagrafico, il documento di un cosmetico è un faldone di decine
di pagine.
La VI modifica della legge 713, la stessa che introduce
l’uso dell’INCI, ha introdotto l’obbligo della redazione del dossier.
Già prima della VI modifica molte aziende facevano il
dossier, che non è che un insieme di informazioni finalizzate a stabilire la
conformità del prodotto e la sua sicurezza, ma lo facevano ciascuna a modo suo.
La legge è entrata nel merito della redazione del dossier
non solo indicando come va fatto, ma anche che informazioni devono essere
obbligatoriamente contenute.
Oltre ad ovvie informazioni, nome del prodotto, tipo,
funzione, formula quali/quantitativa, metodo di lavorazione, caratteristiche
tecniche e di sicurezza delle materie prime, caratteristiche tecniche del
prodotto, il tipo di packaging in cui sarà contenuto, il dossier deve
contenere, fra l’altro, due studi importanti per la tutela del consumatore: il
livello di esposizione al prodotto da cui consegue, altrettanto importante, la
valutazione della sicurezza del prodotto finito.
E’ buona prassi che il valutatore della sicurezza sia un
figura diversa dal formulatore, non è un obbligo di legge, ma è una tutela
maggiore, il famoso “chi controlla il controllore?”.
Siccome la legge afferma che: (art 7. comma 1 . legge
713/86)
“i prodotti cosmetici devono essere fabbricati,
manipolati, confezionati e venduti in modo tale da non causare danni alla
salute umana se applicati nelle normali o ragionevolmente prevedibili
condizioni d’uso, tenuto conto in particolare della presentazione del prodotto,
dell’etichettatura, delle eventuali istruzioni per l’uso e per l’eliminazione” il valutatore terrà conto di ciò.
Una volta inserite tutte le informazioni relative alla
formula, cioè a monte tutte le informazioni riguardanti anche le materie prime
e le loro concentrazioni all’interno di quel prodotto, il tipo di applicazione
e come verrà immesso sul mercato il prodotto, il valutatore comincia a fare le
sue considerazioni.
Il livello di esposizione: non è uguale per tutti i
prodotti, ovviamente.
Innanzitutto ci sono prodotti che si sciacquano (i
leave-off) ed altri che permangono (i leave-on).
Già qui una valutazione di sicurezza prende una direzione
piuttosto che un’alta.
Inoltre si valuta la frequenza d’uso: una maschera si usa
una volta alla settimana, una crema per il corpo, ragionevolmente, tutti i
giorni.
La superficie corporea coinvolta: un eye liner, pochi
millimetri quadrati, una crema per il corpo una superficie più ampia.
Il numero di applicazioni giornaliere: se lo shampoo lo
faccio tutti i giorni, le mani le lavo più di frequente. Però coinvolgo
superfici di diverse dimensioni.
Insomma dopo che il valutatore ha fatto conti, somme,
percentuali, su superfici, pesi e misure, fortunatamente aiutato da appositi
software, comincia a chiedersi a che quantità di ogni sostanza contenuta nel prodotto colui che mette le crema per
le mani - prevedibilmente - mattina e sera, sia esposto.
Il valutatore è tenuto quindi a considerare le normali o
ragionevolmente prevedibili condizioni d’uso non a considerare
stramberie.
Se una crema, ritenuta sicura se applicata sul viso, viene
spalmata sul pane e poi mangiata, beh, il valutatore non può farci niente, e
non gliene importa neppure.
Inoltre il valutatore deve avere i test di efficacia dei sistemi conservanti (il cosiddetto challenge test che è in vitro): un
prodotto è sicuro non solo per la sua formulazione, ma anche perché, nel tempo,
non darà origine a colonizzazione di microorganismi (muffe, lieviti, batteri).
E’competenza del valutatore confrontarsi con chi sceglie il
packaging, perché la sicurezza del prodotto dipende anche da come vien
confezionato e dalla compatibilità prodotto - materiale del contenitore.
Certi packaging danno maggior sicurezza di altri: una
monodose o un airless sigillato, ad esempio, preserva meglio del flacone a
pompa che a sua volta preserva meglio del vasetto.
La preservazione è anche in funzione del contatto con
l’aria, non solo con le mani più o meno pulite.
La forma e l’aspetto del packaging concorrono a verificare
la sicurezza del prodotto: ricordate che anni fa c’erano in commercio dei
bagnoschiuma in flaconi che ricordavano le bottiglie del latte, saponi a
caramella o a fragola, shampoo in lattina tipo bibita?
Bene, dopo che qualcuno, fuorviato dalla forma della
confezione, ha fatto uso improprio del prodotto (cioè se lo è mangiato o bevuto), la legge ha vietato tutte quei
packaging riconducibili a imballi o a forme di tipo alimentare, che potessero far fraintendere il contenuto.
Quindi se il valutatore certifica la sicurezza del prodotto
per formula, sistema conservante, ragionevoli e prevedibili modalità d’uso,
livello di esposizione, ecc, e poi chiede il packaging per confermare le sue
conclusioni e si vede presentare un vasetto tipo yogurt, ha il dovere di
opporsi e di non emettere il certificato di sicurezza.
Infatti un prodotto viene immesso sul mercato solo se
all’interno del dossier è allegata la valutazione della sicurezza firmata dal
responsabile.
Attualmente il dossier, contenendo informazioni che sono il
frutto di anni e investimenti per la ricerca, è riservato: il fabbricante deve
limitarsi a notificare al Ministero della Salute che ha il dossier e dove è
conservato per eventuali controlli delle autorità.
Con la nuova normativa, da aprile 2013, alcune parti del
dossier di pubblica utilità sanitaria dovranno essere inserite direttamente da
parte del fabbricante sul sito del ministero ad uso dei centri di controllo e
antiveleno.
La legge dice proprio così: sarà fatto obbligo al fabbricante…
Ma sapete chi è il fabbricante? Non è affatto che FA il
prodotto, quello è il produttore.
Il fabbricante è quello il cui nome è sulla confezione
(detto anche “appositore di marchio”), è quello che immette il prodotto sul
mercato, è il distributore responsabile insomma.
Alla faccia della semplificazione, almeno lessicale.